Master Universitario (I livello) in Diritto Marittimo, Portuale e della Logistica

Porti: né pubblico né privato ma a statuto speciale. E lontano da Bruxelles


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Intenso dibattito sulla ‘corretta’ natura della port authority al summit di (mezza) Assoporti a Ravenna, tra posizioni di sovranismo e accuse di complottismo; corale unanimità pro-infrastrutture e anti-UE tra i presidenti delle 8 AdSP

Ravenna – Non è andata delusa l’attesa per la stimolante tavola rotonda organizzata a Ravenna da Assoporti, in collaborazione con la locale AdSP – come ‘clou’ della presentazione del nuovo Master in Diritto marittimo, portuale e della logistica - con suggestivo titolo il dilemmatico interrogativo ‘Porti: pubblico o privato?’ Un falso dubbio, se è vero che una delle principali conclusioni tratte dai relatori, sostanzialmente all’unisono, è che il vero quesito sarebbe: tassazione si o no?

Senza precorrere conclusioni meglio illustrate dai protagonisti, quasi nessuno è sfiorato dal dubbio che le autorità (di sistemi) portuali italiane non siano enti pubblici; palese dunque che non possano essere altra configurazione giuridica, anche se fossero trasformate in SpA, come da qualcuno tuttora auspicato.
Non solo per tale motivo – suggeriscono i membri del nutrito e qualificato panel chiamati a dissertare l’argomento alla Camera di Commercio ravennate – tassare i loro gettiti appare soluzione incongrua e iniqua, al contrario di quanto afferma, un po’ ostinatamente ed in maniera standardizzata, qualcuno che risiede stabilmente a Bruxelles e che probabilmente non ha la minima idea di come siano strutturati e organizzati i nostri porti; e soprattutto che non immagina neanche in quale contesto essi operino, anche a livello di competitor diretti collocati in aree extra-UE, pertanto non soggetti, questi ultimi, ad alcuna (o quasi) regolamentazione stringente, liberi di avvantaggiarso di fattori produttivi del servizio a condizioni e costi ideali.
Un corollario diretto di quanto sopra è che sarebbe assai meglio, da parte italiana, frequentare più assiduamente (e con i giusti ambasciatori, preparati e persuasivi) le stanze che contano nella capitale belga, dove i nostri rappresentanti, quando arrivano, lo fanno con sporadicità o comunque con scarsa presenza politica o dimestichezza tecnica. Questa è in fondo la tesi ‘complottista’ avanzata da più voci al dibattito romagnolo; ovvero che il ‘risorgimento’ in corso presso i terminal italiani (ma anche in quelli spagnoli), con ripresa dei traffici ed ambiziosi aneliti di sviluppo, preoccupi non poco i ‘big guys’ del Northern Range, una volta padroni incontrastati del mercato continentale, fino ad indurli a porre in essere un pressing lobbystico alla Commissione per mantenere, anche con ‘mezzucci’, la rispettiva rendita di posizione.
E per converso, sarebbe più logico opportuno che Bruxelles (Commissione) e Strasburgo (Parlamento) non stessero a quelle latitudini ‘infidamente’ nordiche, ma piuttosto all’altezza del corridoio che unisce la penisola iberica ai Balcani, diciamo in una location sotto il parallelo Lione-Trieste; magari – se non fosse territorio extra-comunitario – nella atavicamente neutrale, per definizione, Svizzera, affermiamo provocatoriamente.
Ma al di là dei superiori sforzi logistici che occorrono ai paesi mediterranei dell’UE – dalla Spagna alla Grecia passando per l’Italia – per salire in Belgio con le proprie truppe bene organizzate, sembra proprio la distanza culturale tra Nord e Sud dell’Unione il maggior ostacolo che allontana il nostro Paese, con la sua particolare architettura socialeeconomico- politica, dal modello europeo invalso nel freddo settentrione del Vecchio Continente.
Dove, tanto per restare in tema, le città-Stato portuali sono ancora più che un retaggio storico, bensì un modello che va per la maggiore; e dove la presenza giurisdizionale della Municipalità nell’alveo dello scalo marittimo non è vista come una forma di ingerenza, bensì come strumento di garanzia e certificazione che la ‘res publica’ portuale è materia di interesse globale del territorio su cui il porto stesso insiste (ed a cui dà tanta ricchezza).
Prova ne sia che una della conclusioni inedite emerse a Ravenna, suggerita anche da un insigne giurista come il Prof. Stefano Zunarelli, è proprio quella di uno ‘statuto speciale’ cui assoggettare giuridicamente i porti nostrani, proprio in virtù della loro ‘speciale originalità’.
La tavola rotonda ordita dall’Autorità di Sistema Portuale dell’Adriatico Centro Settentrionale ha convogliato alla Sala Cavalcoli – e quale miglior omaggio al riconosciuto ‘inventore’ del moderno porto industriale di Ravenna a inizio degli anni ’60 che non un convegno ad oggetto la portualità? – la metà dei presidenti di AdSP; ben 8, ovvero tutti quelli previsti in scaletta, salvo i  rappresentanti dei porti di Palermo e Taranto.
Ben alto nell’agenda dei lavori il ‘fatto del giorno’ allo scrutinio; il tema del congresso scaturiva dalla letterina recapitata al nostro Governo poche settimane fa. E non si sa se sia nato prima l’uovo o la gallina, ovvero se l’episodio abbia fatto insorgere la necessità di un confronto pubblico, ovvero se il confronto (già deciso) si sia incanalato sui binari della stretta attualità di politica portuale.
Hanno risposto all’appello del padrone di casa Daniele Rossi, Presidente dell’Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Centro Settentrionale, nell’ordine: Antonino De Simone - Commissario straordinario dell’Autorità Portuale di Messina, Massimo Deiana – Presidente dell’Autorità di Sistema Portuale del Mare di Sardegna, Rodolfo Giampieri – Presidente dell’Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Centrale, Pino Musolino – Presidente dell’Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Settentrionale, Carla Roncallo – Presidente dell’Autorità di Sistema Portuale del Mar Ligure Orientale, Paolo Emilio Signorini – Presidente dell’Autorità di Sistema Portuale del Mar Ligure Occidentale, e Francesco Messineo – Segretario Generale dell’Autorità di Sistema Portuale del Mar Tirreno Centrale.

Con apertura dei lavori assegnata al sagace commento di Nereo Marcucci, Presidente (uscente) di Confetra, e conclusioni finali affidate ad un esimio studioso della materia quale il Prof. Stefano Zunarelli, Ordinario di Diritto della Navigazione all’Università di Bologna, uno dei tecnici consultati dai diversi ministeri dei trasporti nelle varie occasioni di legiferazione in tema di riforme.
Introdotti dall’annotazione quasi pleonastica - ma spesso repetita iuvant – del presidente della CCIAA Natalino Gigante che “la sfida decisiva a Ravenna è proprio quella del porto; la questione caldissima dell’oil & gas richiede massima allerta perché lo scalo è una ricchezza del territorio”, prima di scaldare i motori gli 8 rappresentanti di AdSp hanno avuto modo di ascoltare il prologo, come sempre illuminante, di Nereo Marcucci.
Tornato sul ‘luogo del delitto’ – si fa per dire ovviamente: “Anni fa frequentavo Ravenna come terminalista, ai tempi della mia militanza in Contship Italia – il numero uno di Confetra ha ricordato l’impegno sul territorio della confederazione che presiederà sino al prossimo maggio: “Abbiamo aperto recentemente Confetra Ravenna”, prima di entrare nel vivo della questione.
“Il futuro è la logistica, mentre l’industria è una commodity”, assioma ormai invalso, per lanciare la “questione carsica: compare o scompare? Lo scenario è evoluto in maniera drammatica: sul versante shipping le compagnie armatoriali globali si sono ridotte da 21 a 3, e intanto i cinesi sono diventati gli operatori logistici più aggressivi. Noi e i nostri porti siamo stretti in questo abbraccio mortale” spiega Marcucci. “La questione porto pubblico o privato, dunque, alla luce di questi fatti sembra quasi di lana caprina. Se vi sono soggetti privati a menare le danze, come si considera la patrimonializzazione del demanio? E poi intendiamoci, non è tanto questione di cedere la sovranità nazionale a quella europea, ma piuttosto di quanta cederne e quanta riprendersi sotto altra forma. L’incontro di Ravenna è dunque importante perché i vertici delle AdSP presenti hanno chiesto di essere più efficienti e meno destabilizzati
dalla burocrazia. Quindi la privatizzazione non è una prospettiva cui aspirano; una posizione, a mio avviso, di grande
buonsenso”.
Primo ad essere chiamato in causa dal moderatore, Massimo Deiana ha evidenziato la grande compattezza esistente tra colleghi. “Abbiamo sviluppato una sorta di amicizia professionale che ci permette di fare squadra. Se stenta il progetto di sistema nazionale portuale, noi invece siamo un team unito e affiatato, anche nei confronti della questione di Bruxelles, il che ci permette una posizione univoca come Assoporti, anche se il procedimento allo stato attuale non è ancora infrazione; ma l’idea ovviamente è di resistere, documentando le motivazioni, rischiando la procedura, confidando di non soccombere. La portualità è un settore strategico cui bisogna dare gambe per camminare, dunque la questione porti pubblici o privati passa in secondo piano. Il problema è un altro, ed è di sopravvalutazione del ruolo dell’UE, perché il sistema da noi adottato dal 1994 e poi affinato nel 2016 è quello giusto” spiega il presidente dell’AdSP di Sardegna.
“E poi ci sono porti minori non gestiti dallo Stato ma da Regione e da Comuni; la loro certo non può essere definita un’attività economica. Dunque a Bruxelles non possono applicare regole uguali a casi diversi! Bisogna conoscere la storia e anche la geografia per amministrare la materia correttamente, sapere che in Italia ci scontriamo con paesi extracomunitari supportati dai loro stati e senza impedimenti burocratici”.

Facendosi vanto di una mente ancora quasi fresca di studi, l’enfant prodige dei porti Pino Musolino, 40 anni da poco compiuti, è partito da una bella e precisa rassegna della casistica di tutti i modelli portuali vigenti a livello internazionale, con diverse sfumature l’uno dall’altro: dalla landlord autority alla fully privatised.
“Aspettavamo questa comunicazione dalle prime avvisaglie giunte nel 2013, ed infine è arrivata, per cui nessun fulmine a ciel sereno. Un nostro punto debole è che non facciamo lobby a Bruxelles. E intanto di fronte a noi abbiamo un concorrente temibile come Capodistria, col modello sloveno che ricalca il nostro vecchio, precedente la legge 84 con le aziende autonome nelle diverse denominazioni.
Cosa vogliamo realmente fare? Quel che conta in realtà per fronteggiare la concorrenza è l’efficientamento dei porti, prima di arrivare alla questione pubblici o privati” ha sostenuto il presidente dell’AdSP di Venezia. “Vorrei vedere risolti i colli di bottiglia, anche lasciando la situazione invariata. Ci servono qualità ed efficienza, dobbiamo risolvere i punti critici e reagire. E per fare questo non bisogna per forza essere porti privati, seppure ci vogliano competenze manageriali e una mentalità diversa, improntata al mercato. Ad esempio, al porto di Amburgo hanno una società di marketing portuale dedicata, mentre da noi una norma introdotta dall’allora ministro Brunetta limitava al 10% dell’anno precedente gli investimenti in promozione. Come poter gareggiare a queste condizioni?

E poi una considerazione generale: tutti gli strumenti sono buoni o cattivi a seconda di come si gestiscono e si usano, e non di per sé, come un martello che può piantare un chiodo o fare del male. Prendiamo la conferenza delle AdSP, che si doveva convocare ogni 45 giorni, invece l’abbiamo vista in 22 mesi solo 3 volte! Oltre a ciò, bisogna far funzionare la struttura tecnica di missione” ha concluso Musolino.
Per Carla Roncallo i porti devono rimanere pubblici, e non ha senso alcuno pagare le tasse. “Bisogna lavorare sulla semplificazione, su ciò che ostacola lo sviluppo dei porti senza cambiare l’attuale governance. Dico no ad una SpA, trasformare le AdSP non risolve niente, abbiamo avuto l’esempio dell’ANAS – presso cui ho lavorato, dunque l’ho vissuta in prima persona - dove non è cambiato nulla dopo la trasformazione in ente pubblico economico. Non esiste assolutamente la possibilità di un privato che entra nell’ente portuale.
La Riforma Delrio dava la direzione di fare sistema per arrivare ad una concorrenza tra sistemi portuali. Noi a La Spezia e Marina di Carrara ci stiamo riuscendo bene, sebbene ci fosse tanta diffidenza iniziale nell’unione delle forze, specie del piccolo porto nei confronti del grande, come logico”.
Restando in Liguria, il genovese Paolo Signorini vede bene un modello di governance simile a quello delle Ferrovie dello Stato, con uno statuto snello, pur sempre nell’orbita pubblica.
“È un tema complesso se lo si vuole rendere complesso. Il titolo della tavola rotonda è suggestivo, ma in realtà non esiste un’ipotesi sul tavolo di governo, non è ipotizzabile in Italia che i porti siano presi da privati.
Invece si deve trasformare il porto pubblico in qualcosa di più agile; la SpA è il primo gradino, con la partecipazione di enti pubblici locali ed eventualmente del governo. Ma alla fine dobbiamo dare a questa SpA uno statuto con norme che lo semplificano” ha spiegato il Presidente dell’AdSP di Genova e Savona, esprime un concetto preciso sulla privatizzazione: “a seconda della grandezza dei porti le valutazioni possono essere diverse; per i porti medio-grandi la proposta è una forma di SpA pubblica con statuto speciale per evitare gli attuali ingessamenti in ogni campo”.
Unico a resistere al vecchio regime ante Riforma Delrio è Antonino De Simone, commissario a Messina, dove ancora la situazione è confusa e in divenire.
“Dobbiamo ancora completare la riforma del 2016 - io ne sono la prova vivente, essendo ora commissario e prima presidente dell’A.P. – dunque che senso ha oggi parlare di porto privato?
E intanto a metà dicembre scorso è stata costituita la 16ma AdSP, quella dello Stretto, che però non è ancora operativa mentre a Messina è arrivato dopo 53 anni il PRP, tanto per dire quali sono certi tempi italiani. Non è un caso che nello scenario internazionale l’ultimo rapporto Eurispes ci identifica come il paese del Ni’.
Anche Francesco Messineo – forte di un’esperienza ulteriore da Segretario Generale a Gioia Tauro e da Presidente a Marina di Carrara – ha confutato l’argomento di giornata.
“Il titolo del convegno è sbagliato. Quale forma dare ai porti italiani? Il punto vero è quello di dare risposte a chi vuole investire, mentre alla UE interessa solo che noi paghiamo le tasse.
Io sono per la tesi del complotto, perché ricordo la paura che fece al Nord Europa il porto hub di Gioia Tauro quando nacque. Dunque già nel 1995 c’erano tutte le condizioni per andare a incidere sul mercato mondiale in maniera decisiva, il problema è che i porti italiani hanno dormito per anni!” ha accusato il Segretario Generale dell’AdSP di Napoli.

“Una questione pregnante è quella degli aiuti di stato, come ben sappiamo a Napoli per la questione dei bacini; il problema è trovare una definizione calzante, perché tutti e nessuno lo possono essere, a ma in certe situazioni il supporto statale è assolutamente obbligatorio. Ma tutto dipende dal livello dimensionale dei porti; avere una scala regionale dà forza contrattuale, avere più operatori concorrenti permette di configurare la forma della landlord authority, che sarebbe quella giusta.
Se poi guardiamo all’Italia consideriamo che, secondo organismi come ANAC e ART, si parte dal presupposto che chi amministra abbia perseguito un interesse personale o comunque che abbia seguito una procedura non codificata. Chi monitora gli enti portuali se ne importa poco o niente dei risultati commerciali ottenuti dall’amministrazione, ma cerca solo di scovare se un funzionario ha forzato una posizione per ottenere un risultato, allora scaturisce il sospetto della corruzione. A loro interessano le procedure e non gli obiettivi” conclude amaramente Messineo.

Rodolfo Giampieri ha annotato innanzitutto la centralità del Mediterraneo,che rappresenta il 20% dei traffici di tutto il mondo. “In questa fase di trasformazione e di grandi opportunità si devono avere risposte veloci; semplificare è dunque la parola d’ordine, per le imprese e di conseguenza per le AdSP; e le infrastrutture devono essere orientate al mercato di riferimento. Ma non possiamo continuare a deludere chi vuol venire a investire in Italia.
Occorre tenere dritta la barra sulla capacità dello Stato italiano di regolare il mercato o il Paese dovrà subire l’oligopolio pro domo loro di quei gruppi che sono intervenuti pesantemente sulle sue aree portuali.
Si richiede maggiore attenzione alla strategia dei porti competitor africani, che non devono rispondere a nessun organismo di vigilanza e regolamentazione” ha terminato il presidente dell’ente marchigiano, con giurisdizione anche sull’Abruzzo.
Anche per il padrone di casa la natura pubblica dei porti è un falso problema.
“È tutto un sistema che va cambiato, il paese è attualmente paralizzato. Peccato, perché abbiamo le risorse – come ad esempio il miliardo di euro ‘piovuto’ su Genova - abbiamo una visione comune tra porti e abbiamo un obiettivo strategico, dunque ci devono solo lasciare fare.
L’economia portuale vale il 3-4% del Pil nazionale, che sale al 10% includendo il mondo della logistica. Le AdSP dunque vanno messe nelle condizioni di lavorare” ha spiegato Daniele Rossi, che ha chiesto una revisione attenta della legge 84, aggiornando alcune normative della legge madre del 1994, del codice appalti e della normativa ambientale, non prima di porre l’accento sull’osservazione che “il Paese ha bisogno di infrastrutturarsi adeguatamente, per sua maggiore sicurezza, ma anche per creare lavoro e ricchezza, e deve farlo con l’attenzione alla massima qualità, senza badare a sterili esercizi come le analisi costi-benefici”.
Le conclusioni, affidate al raffinato ‘cervello’ di Stefano Zunarelli, hanno rimarcato la validità della tesi complottista.
“Dall’ultima lettera della Commissione Europea, come anche da altri suoi precedenti atteggiamenti, si capisce come Bruxelles sia impegnata a complicare la vita ai porti del Sud Europa studiando scientemente come poter ritardare i lavori non appena si affaccino progetti importanti” ha affermato senza tema di smentita il docente bolognese, tuttavia annotando anche le nostre evidenti lacune.
“C’è necessità di semplificazione, perciò ben vengano iniziative come quella di Confetra, promossa anche dal CNEL ed alla quale partecipa, la cosiddetta ‘Bassanini delle merci’, che ha l’obiettivo di produrre un articolato testo normativo volto ad agevolare lo sviluppo dei traffici in un mercato internazionale fortemente competitivo, cui occorre dare risposte immediate ed adeguate.
Ma esiste anche un’assoluta necessità di valorizzare la specialità del settore portuale. E non è detto che tutti i porti debbano avere la stessa governance; se un ente pensa di potersi autofinanziare o trova privati pronti a finanziarlo, la scelta privatistica potrebbe avere solide ragioni” ha concluso l’Ordinario di diritto della navigazione all'Università di Bologna.
Angelo Scorza






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